Raggi X
Cosa sono i raggi X? Quando e come sono stati scoperti? Come si producono?
Scopriamolo assieme nelle prossime pagine!
Scoperta dei raggi X
Il fisico tedesco W. K. Röntgen, intorno al 1895, stava eseguendo ricerche sul passaggio della scarica elettrica attraverso gas rarefatti. Durante le sue ricerche egli notò che, in concomitanza con il passaggio degli elettroni nel gas, uno schermo ricoperto di materiale luminescente si illuminava, come se venisse investito da un raggio di luce che però in realtà non c’era.
Provò dunque a fermare il corso di questa emissione ponendo diversi oggetti tra il tubo e lo schermo. Tuttavia, nessun oggetto proiettava un’ombra sullo schermo, che rimaneva sempre completamente illuminato.
Successivamente Rontgen sostituì lo schermo con una lastra fotografica impressionabile, e solo quando pose tra il tubo e la lastra la mano della moglie, sulla lastra rimase l’immagine delle ossa della mano.
Il fisico aveva appena scoperto una nuova radiazione, che era in grado di attraversare i tessuti molli del corpo umano ma non le ossa: i raggi X. Röntgen aveva appena realizzato la prima radiografia della storia.
Natura dei raggi X
La vera natura dei raggi X è stata lungamente discussa a causa delle grandi differenze presentate dalle loro proprietà rispetto a quelle delle radiazioni allora conosciute.
I raggi X sono prodotti dal brusco arresto che subisce un fascio di elettroni in veloce movimento (raggi catodici) contro un corpo solido.
Quindi un apparecchio generatore di raggi X deve comprendere un sistema che liberi elettroni, un sistema che crei un campo elettrico di opportuna polarità atto a imprimere loro un moto velocissimo, infine uno schermo (una lastra metallica) che, arrestando il fascio di elettroni, diventi centro di emissione dei raggi X.
Negli apparecchi generatori di raggi X si distinguono due parti: il cosiddetto tubo, in cui hanno luogo i fenomeni descritti, e il generatore di alta tensione, che fornisce l’energia necessaria.
I tubi si suddividono nelle seguenti tre principali categorie, tenendo conto del sistema usato per liberare gli elettroni: tubi ionici, tubi termoelettronici, tubi autoelettronici.
Tubi ionici
Essi constano generalmente di una ampolla di vetro in cui si trova un gas a una pressione dell’ordine di un millesimo di mm di colonna di mercurio, e in cui sono fissati almeno due elettrodi che all’atto del funzionamento vengono portati a una notevolissima differenza di potenziale (da 10 a 200 kV). Sotto l’azione di questa differenza di potenziale, il gas si ionizza, e gli ioni positivi, urtando contro il metallo che forma l’elettrodo negativo, provocano un’intensa emissione di elettroni.
Gli elettroni così liberati per effetto del campo elettrico acquistano una notevole velocità, e costituiscono i raggi catodici. Essi, arrestati da uno schermo metallico (anticatodo), unito al polo positivo della sorgente di alta tensione, danno luogo alla produzione dei raggi X. La zona dell’anticatodo dove avviene l’arresto dei raggi catodici si chiama fuoco. La maggior parte dell’energia posseduta dal fascio catodico si converte in calore (solo qualche millesimo di essa si converte in raggi X), e quindi bisogna provvedere a un energico raffreddamento dell’anticatodo.
L’energia emessa in un dato tempo (“quantità” di radiazione) dipende dal numero di elettroni che in detto tempo urtano l’anticatodo, e quindi dal valore medio della corrente elettrica che è passata nel tubo. Questa grandezza nei tubi ionici è funzione della differenza di potenziale applicata al tubo e della pressione del gas contenutovi. La difficoltà di regolare indipendentemente la qualità e la quantità della radiazione prodotta ha portato all’abbandono quasi totale di questo tipo di tubo.
Tubi termoelettrici
Nei tubi termoelettronici il vuoto nell’ampolla è spinto al massimo possibile. L’emissione di elettroni da parte del catodo è ottenuta portando all’incandescenza una spiralina di tungsteno che fa parte del catodo stesso (effetto termoelettronico). Questi tubi, dal nome del ricercatore che diede loro la forma attuale, si chiamano spesso anche tubi Coolidge.
In essi la regolazione della “qualità” e della “quantità” della radiazione è molto più semplice rispetto ai tubi ionici.
Tubi autoelettronici
Nei tubi autoelettronici il vuoto nell’interno dell’ampolla è molto spinto. Gli elettroni vengono emessi dal catodo dove, per la sua speciale configurazione, il campo elettrico è così intenso da provocare lo strappamento di elettroni anche dal metallo freddo (effetto Schottky). I tubi autoelettronici non hanno trovato applicazioni pratiche altro che in qualche specialissimo impianto sperimentale per raggi ultrapenetranti.
Questi erano i raggi X 😉
Speriamo tu possa aver trovato utile questo nostro articolo.
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