Interpretazione del diritto

Interpretazione del diritto

Sappiamo che le norme giuridiche hanno come caratteristica principale quella di essere astratte e generali, ponendo quindi un quesito di straordinaria importanza: in che modo si applicano ai casi concreti?

Non troveremo infatti mai una norma che dice, ad esempio: “Se Tizio ha rubato due biciclette per poi rivenderle su internet, allora dovrà andare in prigione per sei mesi e pagare una multa di 300€”; essa non avrebbe nessuna utilità in nessun ordinamento perché varrebbe solo per Tizio e solo per il furto di due biciclette, dunque per un caso estremamente limitato.

Troveremo piuttosto una norma del tipo: “Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da centocinquantaquattro euro a cinquecentosedici euro” (art. 624 c.1 c.p.), che copre un’enorme quantità di ipotesi diverse. 

Qualsiasi documento normativo contiene enunciati o disposizioni – che sono le proposizioni, le frasi che troviamo stampate sul codice – da cui si ricava una norma, ovvero il significato che ci consente di utilizzarle: si introduce quindi un elemento importante di soggettività, che rende le soluzioni non sempre univoche.

Questo processo si chiama interpretazione e, per essere valido a fini giuridici, deve sottostare ad alcune regole ed essere compiuto da determinati soggetti (essenzialmente, i giudici).

L’articolo 12 delle preleggi recita: “nell’applicare una legge non si può attribuire ad essa altro senso che non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.

Il legislatore, in sostanza, individua un “ordine” con cui si deve cercare di interpretare la norma giuridica: in primo luogo si ricorrerà all’interpretazione letterale e, qualora essa non sia possibile, all’intenzione del legislatore stesso; se il significato della disposizione sarà ancora oscuro, la si interpreterà cercando una norma che regoli un caso simile; se neanche questo metodo sarà efficace, ci si rifarà ai principi generali dell’ordinamento. 

Vediamo singolarmente i vari “livelli” di interpretazione. 

Interpretazione letterale

L’art. 12 impone di fare riferimento, in primo luogo, al senso “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. 

L’interprete dovrà quindi cercare di basarsi esclusivamente sulle parole della disposizione, analizzandone il significato letterale senza modificarlo o… interpretarlo. 

Attenzione, non è così facile come sembra! Pensiamo ad un’espressione – molto usata nel diritto – come “diligenza del buon padre di famiglia”: proviamo a metterci nei panni di un giudice, ad esempio, e analizziamola. Al di là del significato vero e proprio che questa frase assumerà nei vari ambiti in cui potrà essere ritrovata, per noi un buon padre potrebbe essere colui che porta l’esempio, rispetta i suoi impegni e si occupa, con affetto e cura, dei propri cari. 

Ora proviamo a farci spiegare dai nostri genitori cosa significa per loro: è proprio la stessa cosa? Probabilmente sì. Proviamo ora con i nostri nonni e bisnonni: è ancora uguale?

Questo ci dimostra che qualsiasi processo interpretativo è intensamente legato alla cultura della società all’interno della quale si agisce. Una norma prodotta nel 1942 – come il nostro codice civile – avrà assunto per il giudice dell’epoca un significato ben preciso, ma nella società contemporanea esso potrebbe essere decisamente diverso: come dicevo all’inizio, nel passaggio da disposizioni a norme subentra un elemento fortemente soggettivo.

Interpretazione secondo intenzione del legislatore

Anche qui il processo non è così facile: il significato “fatto palese dall’intenzione del legislatore” potrebbe essere inteso come la volontà soggettiva del legislatore storico, dunque l’autore materiale della disposizione, oppure come volontà di un ipotetico legislatore attuale.

Nel primo caso si parlerà di interpretazione storico-psicologica, che potrà essere ricavata da ricerche sui lavori preparatori; nel secondo caso – interpretazione teleologica o evolutiva – si terrà conto dell’evoluzione, appunto, e quindi dei cambiamenti storici, sociali e normativi della comunità a cui ci si riferisce; nella maggior parte dei casi, l’intenzione del legislatore storico è in realtà solo il punto di partenza per accertare la ratio della norma e, quindi, sempre parte del secondo caso.

Interpretazione analogica

Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. 

In questo caso il giudice si trova di fronte ad una lacuna dell’ordinamento, cioè deve regolare un’ipotesi che la legge non contempla. Come fare? Ovviamente egli non può dire: la legge non è chiara, quindi non deciderò. D’altronde, non si può neanche pretendere che l’ordinamento regoli ogni singola ipotesi, ogni minima sfumatura delle azioni umane; quello che gli si deve chiedere è che sia però coerente e completo, e questo è possibile grazie all’interpretazione analogica.

L’analogia si divide in due tipologie:

  • Analogia legis
  • Analogia iuris

Il primo caso è quello contemplato dall’espressione “casi simili o materie analoghe” del nostro articolo 12.

Viene dunque attribuita ad un caso non regolato la disciplina di un caso simile, a patto che – attenzione – risponda alla stessa ratio.

Nella seconda tipologia, invece, il caso verrà deciso “secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”; qui non c’è una norma simile a cui fare riferimento, ma ci si basa semplicemente su quei principi che tengono in piedi il diritto (ad esempio, la stessa diligenza del buon padre di famiglia).

Interpretazione di leggi speciali, penali, eccezionali

l’art. 14 delle preleggi ci dice che “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre ai casi e ai tempi in esse considerati”.

Dunque, per le leggi eccezionali – cioè quelle che contengono delle deroghe ad una disciplina astratta – e quelle speciali – che invece contengono deroghe ad una disciplina generale, stabilendone una diversa per un numero limitato di soggetti – vige un divieto di interpretazione analogica e di efficacia retroattiva: potranno essere applicate solo nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore.

Anche le leggi penali rispondono al principio di stretta interpretazione: questo costituisce un’importantissima tutela per il singolo cittadino, che deve poter sapere esattamente cosa sia vietato e cosa no, così da poter calibrare con attenzione ogni sua azione.

Interpretazione giudiziaria

Si tratta dell’interpretazione che svolge la funzione pratica della legge, dunque dell’insieme delle decisioni dei giudici: in poche parole, è l’interpretazione della giurisprudenza.

Le decisioni di un giudice vincolano solo le parti e dunque non devono influenzare qualunque collega che, in seguito, si trovi a dover risolvere un caso analogo: negli ordinamenti di civil law (come il nostro) il principio di stare decisis – che costituisce uno dei fondamenti della common law e dunque, ad esempio, degli ordinamenti anglosassone e americano – non è contemplato.

In realtà, anche nel nostro ordinamento la giurisprudenza ha una qualche forza vincolante nel senso che, laddove non sussistano gravi ragioni per discostarsi dagli orientamenti consolidati, qualunque giudice tenderà ad uniformarsi alle interpretazioni fatte proprie dagli altri giudici.

La Corte di Cassazione, inoltre, ha il dovere di assicurare l’esatta applicazione e l’interpretazione uniforme della legge attraverso la sua interpretazione di ultima istanza e dunque crea un precedente che, seppur sempre modificabile, mette a tacere tutti i dubbi sull’interpretazione di questa o quella disposizione.  

Una norma che si è imposta nella giurisprudenza prende il nome di “norma vivente”.

Interpretazione autentica

È l’interpretazione che viene effettuata, con la stessa fonte, dallo stesso potere che ha creato la norma interpretata: il caso più importante è quello dell’interpretazione della legge fatta con altra legge. 

Essa è voluta dal legislatore e serve a far prevalere la sua volontà su quella altrui: egli infatti ha sempre (dunque, a maggior ragione, quando sorgano dubbi) il potere di abrogare o sostituire le leggi. 

Con essa vengono vietate tutte le interpretazioni contrastanti e, dunque, si giustifica solo dove ci sia un grave dubbio interpretativo.

Interpretazione scientifica

È l’interpretazione svolta dalla dottrina, quindi dagli studiosi del diritto. 

Essa ha un ruolo principalmente pratico: la dottrina ha infatti il compito di riordinare, sistematizzare e costruire concetti e astrarre principi, in modo che la massa degli atti normativi possa essere padroneggiata in modo agevole e ricondotta a unità. 

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